“La perfezione è morta”, così mi hanno detto.

26.03.2019

Lo scorso fine settimana sono andata a una fiera. Mi sono sempre piaciute le fiere, credo che sia per l'aria di passione ed entusiasmo che si respira e per tutte quelle novità che si scoprono ogni volta. Si torna un po' bambini passeggiando con stupore e ammirazione tra uno stand e l'altro.

Questa volta però ero più emozionata. Era infatti la mia prima fiera da PR di me stessa. Avevo i miei primi biglietti da visita, ancora freschi di stampa, e avrei dovuto presentarmi, fare una certa impressione, lasciare un segno, capire come approcciare le diverse persone, insomma una questione seria.

Ho iniziato ad aggirarmi per il padiglione e ad ammirare le varie opere appese o esposte. Era una fiera d'arte, e commentare i quadri o porre domande in merito era il modo migliore per rompere il ghiaccio. E così è stato. Ho parlato con persone da ogni dove, ricche di aneddoti e piene di storie interessanti, che con gentilezza hanno saputo guidarmi nel loro mondo artistico e farmi scoprire nuovi modi di vedere, tecniche affascinanti e mostrarmi che l'arte non è fatta solo di talento naturale ma di un profondo e costante impegno oltreché di un'infinita pazienza.

C'erano gli artisti con i loro sogni, i galleristi con i loro obiettivi di vendita e poi c'ero io.

Al primo biglietto da visita sfoderato, la domanda è sorta spontanea: "Ah, ma lei è un'artista?"

Come rispondere senza deludere?

"Beh, ci sono molti tipi di artisti al mondo. Io sono un'artista delle parole", questa è la risposta che mi è venuta su due piedi, facendomi meravigliare di me stessa per averla pensata. Detto tra noi, mi sarei data una pacca sulla spalla da sola tanto mi era piaciuta. È pazzesco come a volte ci vengano certe illuminazioni. In fondo il traduttore è un po' uno scrittore. Non per niente siamo protetti dal diritto d'autore per quanto riguarda le traduzioni letterarie. Quindi sì, sono un'artista anch'io e ho sbandierato con fierezza quella risposta per tutto il giorno fino a quando qualcuno, in due secondi, ha letteralmente spianato tutto il mio orgoglio.

"Ah, ma lei è una traduttrice! Allora potrebbe tradurmi questo libro di critica dall'italiano all'inglese!"

"Ehm, sì, lo farei molto volentieri se non fosse che per etica professionale non posso tradurre verso una lingua che non sia la mia, specialmente considerando che si tratta di un libro".

"Beh, allora non mi serve. Io per tutto il resto uso Google Translate e va benissimo, guardi!", e, mentre ancora cerco di riprendermi dallo shock, incredula che abbia potuto dirmi una cosa del genere con tanta nonchalance e senza un minimo di riguardo per il mio lavoro, mi trascina davanti a un foglio stampato, appeso sotto a un quadro con la versione italiana e inglese della descrizione.

"Visto! Cosa ne dice? Non è corretta la versione in inglese?", mi sfida soddisfatto.

"Beh, in realtà, non è perfetta. Vede qui per esempio..."

"Beh, ma la perfezione è morta. Non serve! Basta capire"

Ecco, in quel momento avrei tanto voluto avere una seconda illuminazione e rispondere qualcosa come: "Sa il quadro che le dicevo prima? Bellissimo, però non mi serve, posso sempre comprarmi la stampa all'Ikea per due soldi. Tanto è uguale, no?!"

Ecco come muore l'arte. Sminuendola. Ed ecco come purtroppo, troppo spesso, sorvoliamo su quella cosa fondamentale che si chiama professionalità.

Perché accettare un lavoro non professionale?

Cosa penseremmo di un rappresentante che si presenta a un appuntamento con i capelli sporchi e arruffati, la camicia non stirata, le scarpe infangate e senza un catalogo? Niente di positivo immagino.

Accetteremmo mai che il nostro imbianchino desse solo una prima mano alle pareti e lasciasse delle orrende pennellate sui nostri muri? Non credo.

Gli esempi potrebbero essere infiniti e in tutti i casi le persone in difetto potrebbero semplicemente risponderci: "Beh, ma basta che mi sia presentato all'appuntamento, no?/che ti abbia levato gli scarabocchi di tuo figlio dal muro, ecc.". Non penso che queste risposte basterebbero a placare la nostra insoddisfazione.

Quello che non si capisce è perché riteniamo inaccettabili certe mancanze, mentre invece persiste questo pressappochismo nei confronti del linguaggio.

Perché affidare la traduzione a uno strumento o a persone non professionali quando il modo in cui comunichiamo è il nostro biglietto da visita, è la famosa prima impressione?

Come già sostenevano i filosofi greci, la parola è un'arma potentissima. Può curare o può uccidere. Allo stesso modo, può far volare un business, può mantenerlo a un livello mediocre o può farlo affondare miseramente.

Ovviamente la scelta spetta a noi. Possiamo scegliere di colpire positivamente il nostro potenziale cliente con contenuti ad hoc scritti in maniera corretta e piacevole, o scegliere di dimostrare fin da subito una certa sciatteria e superficialità, o ancora scegliere di mostrare una totale mancanza di professionalità o, se vogliamo, di rispetto. Perché, diciamocelo, la professionalità è soprattutto una questione di rispetto nei confronti del nostro cliente.

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